Data Driven/Human Made. L'antropologia alla base del growth hacking | Il primo libro di Noemi Taccarelli
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Ti ho già detto che ho pubblicato un libro?

In questo articolo voglio anticiparti alcuni dei contenuti in cui ti imbatterai se deciderai di acquistare Data Driven/Human Made - L’antropologia alla base del growth hacking. Ti ricordo che se vuoi, puoi richiedere i primi due capitoli gratuitamente.

Ho scoperto di essere un multipotenziale

Prima di condividerti quali sono le teorie, i metodi e le tecniche di cui parlo in Data Driven/Human Made, ci tengo a raccontarti perché ho sentito l’esigenza di scrivere un manuale che legasse l’antropologia e il growth hacking. E te lo voglio raccontare perché credo che l’esperienza che ho vissuto io sia in realtà comune a molti.

C’è stato un momento della mia vita, quando ero ragazzina, in cui l’idea di dover prendere delle decisioni per il mio futuro mi angosciava terribilmente. Non perché io avessi difficoltà a trovare qualcosa che mi appassionasse. Al contrario, perché le cose che mi appassionavano erano così tante che scegliere una strada univoca avrebbe significato abbandonare tutte le altre, ed io non ero pronta ad una scelta simile.

Questa condizione di incertezza, che per molto tempo mi era sembrata per certi versi invalidante, si è trasformata nel mio principale punto di forza quando grazie a uno speech TED tenuto da Emilie Wapnick ho scoperto di essere un multipotenziale, cioè una persona con molti interessi e occupazioni creative in grado di:

  • Combinare più campi del sapere
  • Apprendere rapidamente cose nuove
  • Adattarsi alle situazioni trasformandosi

Se anche tu ti riconosci in questa descrizione, allora sei un multipotenziale come me.

Cosa c’entra l’antropologia col marketing?

La tendenza a cercare punti di contatto tra discipline apparentemente anche molto distanti tra loro, mi ha permesso di mettere insieme i miei studi universitari in demoetnoantropologia e le conoscenze acquisite durante la mia carriera di marketer, iniziata girando il mondo per promuovere grandi aziende di design insieme al Ministero degli Affari Esteri.

Quello di cui mi sono resa conto, soprattutto, è che le tante e disparate teorie sul marketing che spesso vengono spiegate con paroloni e complesse formule matematiche, hanno un unico comune denominatore: l’essere umano.

Basti pensare che la vendita, per come noi la conosciamo oggi, altro non è che l’evoluzione di un processo nato nella preistoria, quando gli uomini puntavano a migliorare la qualità della loro vita creando relazioni di scambio gli uni con gli altri. Non ci credi? Pensa che in alcuni accampamenti trentini del neolitico sono state trovate conchiglie marine, chiaramente ottenute tramite scambio da popolazioni spostatesi dal mare.

Il processo di vendita/acquisto che lega aziende e consumatori è a tutti gli effetti un episodio di scambio in cui si crea una relazione che porta a entrambe le parti un beneficio.

Ho spiegato più nel dettaglio questo parallelismo in due articoli che potrebbero interessarti:

Il ruolo del growth hacking

Come forse avrai notato, finora ti ho parlato del legame tra antropologia e marketing ma in realtà ho scelto di intitolare il mio libro “L’antropologia alla base del growth hacking”.

Ti stai chiedendo perché?

Una citazione che ho spesso ripreso in altri video e articoli precedenti è la frase di Michael Brenner, ex CMO di SAP e CEO di Marketing Insider Group, secondo cui:

Il Growth Hacking è marketing, è il futuro del marketing ed è quello che il marketing avrebbe dovuto essere fin dall'inizio

Ed effettivamente sì, quando parliamo di marketing e growth hacking non ci riferiamo a due discipline differenti, quanto a due approcci che hanno però lo stesso obiettivo. Ho avuto modo di chiarirlo anche in un altro mio articolo:

Digital Marketing vs Growth Hacking: quali sono le differenze?

Un approccio da growth hacker, come spiego in Data Driven/Human Made, può combinarsi con l’osservazione dei comportamenti umani, quindi con l’antropologia, permettendo a mio avviso di elaborare le più efficaci strategia di crescita per un’azienda.

Questo perché il growth hacking si fonda sui dati e i dati, in fondo, altro non sono che la rappresentazione numerica e grafica di quello che le persone fanno, desiderano, scelgono, acquistano.

Gli strumenti dell’antropologia

Sulla base di quanto abbiamo detto, è facile intuire che alcune tecniche tipiche dell’antropologia si prestano perfettamente a migliorare i processi di raccolta e analisi dei dati tipici del growth hacking.

Mi riferisco ad esempio all’osservazione partecipante, metodologia fondamentale per tutti gli studi antropologici che consiste nel calarsi all’interno di una comunità per osservare e comprendere valori, credenze, linguaggio e comportamenti dei membri che la compongono.

Questa tecnica, oggi, viene applicata da diverse aziende anche alle comunità online, tant’è che si è fatta strada negli ultimi anni una disciplina conosciuta come netnografia, che consiste appunto nell’osservazione scientifica dei gruppi che si formano sul web, le online communities.

Anche strumenti più comuni nel marketing, come ad esempio i questionari di gradimento, possono essere notevolmente migliorati se si impara a costruirli con l’accuratezza scientifica delle indagini antropologiche.

Il valore della sperimentazione

La capacità analitica richiesta in antropologia, e che personalmente invito ad applicare anche al marketing, nel growth hacking deve necessariamente combinarsi con l’attitudine a testare nuove soluzioni fino a trovare quella perfetta.

So che ne abbiamo già parlato in altri articoli e video ma credo sia sempre bene ripetere qual è il protocollo di lavoro a cui un growth hacker dovrebbe costantemente attenersi:

1. Ideazione

Partendo da un problema o un obiettivo si avvia un brainstorming per trovare la migliore soluzione possibile. Il gruppo che partecipa allo sprint deve essere il più eterogeneo possibile.

2. Prioritizzazione

Le proposte elaborate nella prima fase vanno poi valutate attraverso un processo di scoring per dare priorità a quelle con un punteggio più alto. Il metodo di valutazione che ti consiglio io è l’ICE scoring, secondo cui i partecipanti sono chiamati a votare ogni idea con punteggi da 1 a 10 per ciascuno di questi tre parametri:

  • impact: che tipo di impatto si prevede che possa avere questo esperimento;
  • confidence: quanto si è sicuri che questo esperimento potrà produrre risultati apprezzabili;
  • ease: quanto è facile applicarlo.

3. Testing

Fase in cui vengono messi in atto gli esperimenti che hanno ottenuto il punteggio più alto. Servono quindi i tecnici, coloro che sono in grado di tradurre le idee in azioni.

4. Analisi

Fase in cui bisogna raccogliere, scremare e analizzare tutti i dati su com’è andato l’esperimento e su come è possibile migliorarne i risultati. L’ideale è affidare questo compito a un data scientist o un data analyst.

Vuoi saperne di più?

Queste quattro fasi possono essere ripetute all’infinito fino a trovare la migliore soluzione possibile. In ciascuna di queste entrano in gioco metriche, tecniche, strumenti, metodologie e strategie su cui non mi concentrerò solo per questione di tempo. Spero che quanto detto sia però servito ad incuriosirti.

Puoi approfondire l’argomento, scoprendo tutto quello che c’è da sapere sul legame tra antropologia e growth hacking, nel mio libro Data Driven/Human Made. Il manuale è disponibile su Amazon. E se non ti ho ancora convinto a farlo, puoi richiedere qui i primi due capitoli in anteprima.

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