Era il lontano 2008 quando nel mondo della musica online, orfano da tempo di mostri sacri dello sharing come Napster, venne alla luce quello che ad oggi è riconosciuto a livello globale uno dei migliori servizi di ascolto di musica al mondo; stiamo parlando di Spotify.
Ma come ha fatto Daniel Ek, fondatore del servizio, a creare quel colosso che oggi conosciamo?
Spotify: come tutto ebbe inizio
Nella mente di Daniel Ek la core idea di quello che sarebbe diventato Spotify era in fase embrionale ben da prima del 2008. Infatti era il 2002 e il già citato Napster aveva appena chiuso i battenti solo per venire sostituito da un altro circuito p2p fondamentalmente illegale, Kazaa.
Fu in quell’occasione che Ek si rese conto di una cosa, come avrebbe poi raccontato ad un intervista al The Telegraph nel 2010: “Non si può legiferare contro la pirateria. Certo le leggi possono aiutare nella lotta a questo problema ma non riusciranno mai ad eliminarla completamente.” disse il founder. “L’unico modo per contrastarla era creare un servizio migliore della pirateria stessa e allo stesso tempo compensare le major della musica”
Da questa idea quasi utopica nacque il concetto che si sarebbe poi sviluppato in Spotify.
Nel 2006 a Stoccolma, Daniel intraprese quindi una nuova avventura, affiancato da Martin Lorentzon e successivamente dall’amico Ludde Strigeus, fondò la Spotify AB, società che tuttora detiene la proprietà dell’app.
Inizialmente e fino al 2008, restando in fase di beta, il servizio era a solo accesso limitato.
Infatti a quel tempo Spotify era esclusivamente su invito e chi vi era connesso erano o influencer del mondo della musica o giornalisti specializzati nel hi-tech.
Questa scelta era data dal sogno di Ek di avere un prodotto che rasentasse la perfezione ancora prima che il grande pubblico ne venisse a conoscenza: grazie a questa strategia infatti Spotify raccolse feedback da questo gruppo di esperti e ciò gli permise di sistemare gli errori prima che questi potessero anche solo intaccare la possibilità di successo che l’app sembrava avere.
L’inizio di una nuova era
Arriviamo finalmente alla fatidica data del 2008, ossia quando la app venne finalmente lanciata sul mercato. A quel tempo Spotify era un sistema p2p più simile a µtorrent che a quello che conosciamo oggi ma questo non impedì che l’app diventasse apprezzatissima su tutto il continente europeo, dove era stata lanciata.
Questo portò un'ondata di hype nella rete, soprattutto per le zone ancora non raggiunte dal servizio. Difatti all’epoca Spotify veniva già definita “la miglior app di musica al mondo” anche da persone che ancora non avevano avuto modo di provarla.
L’anno zero per gli States sarebbe stato il 2011 ma prima di arrivare a quello deve ancora passarne di acqua sotto i ponti.
Lo step successivo sul sentiero del successo per Ek e co avvenne il 10 febbraio 2009, quando Spotify consentì per la prima volta, sebbene solo nel Regno Unito, la registrazione gratuita al servizio. La concomitante uscita della versione mobile del servizio causò un impennata di registrazioni free tale che l’azienda, a settembre dello stesso anno, si vide costretta a tornare al sistema ad inviti per non avere danni troppo ingenti. Questo evento e il problema avuto con Symantec a gennaio 2010 furono uno dei pochi ostacoli che Ek e Spotify dovettero affrontare nella loro strada per il, meritatissimo, successo.
A gennaio 2010 infatti per un motivo ignoto persino a Symantec stessa, Spotify venne rilevato dal loro sistema antivirus, uno dei più conosciuti e utilizzati all’epoca, come trojan horse facendo si che la versione desktop venisse disabilitata per milioni di utenti per un periodo; questa cosa causò ovviamente non pochi problemi alla società.
Altri due passi importanti, sempre fatti nel 2010, furono il ricevimento di un piccolo investimento da parte della Foundations Fund e soprattutto l’innesto in società con il solo scopo di “vincere le etichette nel più grande mercato di musica mondiale” di Sean Parker, co-founder del succitato Napster nonché ex-presidente di Facebook.
Un ennesimo tassello importante per il futuro di Spotify, Ek e soci lo innestarono a fine di quel già fortunato 2010: infatti il World Economic Forum insignì l’azienda del premio “Technology Pioneer” spalancando così le porte ad altri ingenti finanziamenti.
Tali fondi, quantificabili in circa 100 milioni di dollari, consentirono all’azienda il passo successivo: Spotify finalmente poté volgere lo sguardo ad occidente e si preparò a puntare al grande obiettivo, il mercato a stelle e strisce.
Infatti il 14 luglio 2011 Spotify attraccò sulle reti statunitensi, iniziando definitivamente l'ascesa alla vetta del proprio settore.
Da dove nasce il successo di Spotify?
Ma da dove deriva tutto il successo che Ek e soci sono riusciti ad ottenere?
Principalmente nella mentalità lean di Ek e nel suo porre attenzione alle partnership, punto cardine di Spotify.
Infatti, grazie alle strategie messe in atto, l’azienda lavora in maniera differente dalle concorrenti, che solitamente cercano di sabotare le case discografiche; Spotify invece stringe accordi ed alleanze con queste ultime andando così a creare un nuovo mood; vantaggioso sia per gli utenti che per le case discografiche; di fatto facendo contenti tutti.
Oltre ad affidarsi agli accordi con le case discografiche, Ek e soci puntarono in alto, stringendo accordi con due colossi dell’intrattenimento: Sony e Microsoft.
Queste alleanze hanno permesso a Spotify di diventare sistema nativo di ascolto musica su console di gioco e dispositivi mobili di entrambe le società: già dal 2015 infatti Spotify è presente su Playstation e dal 2017 Microsoft installa sui suoi device il servizio di Ek e soci.
Un altra serie di accordi fondamentali che Spotify ottenne fu con le aziende che gestiscono i vari social media: in primis Meta, che allora ancora si chiamava Facebook,
Grazie a questo accordo gli utenti Spotify possono condividere sui vari social i loro brani preferiti.
Da tutto questo cosa possiamo dedurre? Qual è il metodo che Daniel Ek ha applicato nella sua azienda? Esiste un'espressione per sintetizzare tutto questo complesso e meraviglioso percorso.
E questa espressione è growth hacking!
E di questo modo di concepire un azienda, sicuramente Daniel Ek è un genio;
sfruttando così un approccio lean per semplificare il prodotto che aveva per le mani e per ottenere dati su come poterlo migliorare.
Studiando il mercato in cui voleva immergersi e affidandosi ai giusti early adopters è riuscito a rispondere nel migliore dei modi alle esigenze del suo pubblico; in primis la necessità di condividere.
È grazie a questo che ora Spotify è ciò che conosciamo!